Autobiografia del fondatore della Nike
Anche oggi in ufficio hai vissuto quella strana sensazione che ti colpisce dritto in pancia.
Di nuovo.
Non sai bene come definirla (ansia, stress, fatica?), però è lì.
Inesorabile.
Hai provato a farla passare in tutti i modi.
Hai bevuto un bicchiere d’acqua, hai fatto un giro a salutare i tuoi colleghi, hai lavato la faccia. Niente.
Non passa.
Provi a riprendere la lettura del bando che hai davanti, ma non riesci proprio a concentrarti.
L’art. 80 del Codice degli Appalti oggi è particolarmente ostico. Sembra scritto in aramaico. Antico.
L’offerta tecnica che stai preparando è diventata improvvisamente un foglio bianco di Word che ti fissa inesorabile.
Le formule di excel che usi per calcolare l’offerta economica hanno deciso di non funzionare più e sei più in difficoltà di quando dovevi calcolare i radicali al liceo.
Hai chiara solo una cosa: devi risolvere quel pensiero che ti assilla il cervello.
Subito.
Così potrai, finalmente, riprendere la concentrazione e tornare a lavorare in pace.
A volte vorresti essere un robotico esecutore senza sentimenti: vorresti fare il tuo lavoro senza avere nessun tipo di interferenza esterna.
Questa sensazione di impotenza di fronte alle difficoltà o di fronte all’imprevisto ti lascia senza respiro.
Come fare per mandarla via?
Qual è la ricetta per non vivere questo disagio?
Se la conosci dimmela!
Io provo molto spesso tutte queste sensazioni. A volte anche contemporaneamente.
Non mi piace per niente provarle.
Soprattutto la fatica. Non mi piace far fatica. So che è una condizione con cui devo fare i conti, ma non mi piace per niente provarla.
Come faccio, allora, a riprendermi da questi momenti?
Ho un metodo tutto mio.
Prima di tutto mi confronto con chi mi vuole bene. Mi faccio spronare e chiedo di starmi vicino.
Poi, leggo.
Leggo le vite di persone vere. Vissute nel mondo reale. Che hanno provato le mie stesse sensazioni, le mie paure e sanno cosa vuol dire far fatica.
Cerco, principalmente, due tipi di persone: gli imprenditori e gli sportivi.
Perchè?
Perchè “usano” la fatica come leva per fare meglio.
Trovano, a volte inaspettatamente, le forze – dentro loro stessi – necessarie per affrontare la difficoltà.
Gli imprenditori rischiano tutto per costruire qualcosa di unico che serva agli altri.
Gli sportivi sfidano i loro limiti per vincere e per migliorarsi.
Phil Knight è uno di questi.
Non lo hai mai sentito nominare?
Probabile.
Meno probabile che tu non abbia mai sentito nominare la sua azienda.
Probabilmente – adesso – stai indossando un paio di scarpe prodotte dalla sua impresa.
Sì, ci siamo capiti. Le scarpe con lo “swoosh”.
Sto parlando dell’uomo che ha fondato un vero e proprio impero dal nulla: la Nike.
Il libro che ti propongo di leggere oggi non è la storia di una multinazionale.
Si tratta del racconto autobiografico dell’uomo che, sin da ragazzo, aveva una grande passione sportiva e una grande predisposizione al sacrificio.
Non tutti nascono con il carattere imprenditoriale.
Io, per esempio, non amo rischiare. Il rischio imprenditoriale mi paralizzerebbe.
Però tutti, proprio tutti, siamo accomunati da una grande cosa: non ci viene mai risparmiato nulla.
A nessuno. Ognuno deve fare la propria fatica e deve fare i conti con i propri mezzi.
Phil Knight ha inventato la Nike, noi lavoriamo negli appalti.
Sembrano due mondi totalmente distanti vero?
Leggendo questo libro scoprirai di avere molti punti in comune con quest’uomo.
Scoprirai quante notti insonni ha passato perchè tormentato dall’incubo di tirar fuori dal baratro la sua piccola impresa.
Proprio come me e te, che passiamo notti insonni assaliti dai mille dubbi e dalle preoccupazioni classiche del nostro mestiere.
Leggerai di come ha gioito nel 1972 quando ha visto il primo atleta, il tennista Ilie Nastase, indossare le sue scarpe in mondovisione e vincere contro tutti i suoi avversari!
Credo che sia la stessa gioia e la soddisfazione che proviamo quando vediamo la nostra azienda arrivare prima classificata – grazie al nostro lavoro – contro i concorrenti storici!
E’ vero. Le vite sono diverse.
Ma le emozioni sono le stesse. Il cuore, il desiderio e la voglia di vincere sono uguali per ogni uomo.
Noi siamo fatti per l’infinito.
Noi siamo fatti per vincere.
Non per vincere semplicemente un appalto, ma per vincere la sfida del “quotidiano che taglia le gambe” citando Pavese.
Phil Knight ci ha provato con tutti i suoi mezzi a disposizione (all’inizio investì i pochi dollari prestati dal padre per avviare la sua prima attività). Ma in testa aveva continuamente il desiderio di scoprire che cosa ci fosse di così affascinante dentro la realtà.
Una realtà dura. Fatta di scadenze (ti ricorda qualcosa?), problemi da risolvere quotidianamente e corse contro il tempo. Senza perdere di vista, però, il suo ideale: non smettere mai di ricercare la felicità.
Ti lascio con questa sua provocazione:
“Direi a quelli che non hanno ancora trent’anni di non accontentarsi di un lavoro, di una professione, e neppure di una carriera. Di cercare una vocazione. Anche se non sanno cosa significa, la devono cercare. Seguendo la propria vocazione, la fatica sarà più facile da sopportare, le delusioni fungeranno da carburante, e proveranno soddisfazioni mai provate prima. […]. E quelli che invitano gli imprenditori a non rinunciare? Sono ciarlatani. A volte devi rinunciare. A volte, sapere quando rinunciare, quando provare qualcos’altro, è un colpo di genio. Rinunciare non significa fermarsi. Non fermatevi mai“.